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L’unità ortodossa oggi

L’unità ortodossa oggi

Un anno è passato dalla data (15 Marzo 1992) in cui i rappresentanti delle Chiese ortodosse locali, riuniti a Costantinopoli, hanno firmato un Messaggio comune, che vorrebbe essere espressione della “unità di tutti gli ortodossi” 1. Questo messaggio è stato firmato la Domenica dell’Ortodossia. Per amara ironia, il giorno stesso in cui la Chiesa festeggia il Trionfo dell’Ortodossia, i Primati delle Chiese ortodosse ufficiali firmano un documento le cui prescrizioni possono difficilmente dirsi ortodosse. Nel presente articolo ci proponiamo di esaminare l’idea fondamentale di questo Messaggio, che ne è anche l’idea più discutibile: la concezione dell’unità dell’Ortodossia e degli ortodossi oggi.

È a tutti noto che l’unità della Chiesa ortodossa consiste, principalmente, nell’unità nella fede ortodossa o, in altri termini, l’unità nella pienezza della Verità rivelata, nella Verità Incarnata (cfr. Gv. 14, 6), ovvero in nostro Signore Gesù Cristo. Egli è il Fondatore e il Capo supremo della Chiesa che è il Suo Corpo (cfr. Ef. 1, 22-23; 4, 15; Col. 1, 18). Le membra di questo Corpo sono i fedeli che condividono la stessa fede ortodossa nella Santa Trinità e in nostro Salvatore, l’Uomo e Dio Gesù Cristo, e che sono battezzati con un battesimo ortodosso nel nome del Dio trino.

La classica espressione di tale idea di unità della Chiesa Una, Santa, Cattolica ed Apostolica è stata formulata da San Massimo Confessore (+ 682). I nemici di tale intrepido combattente contro l’eresia monotelita gli posero questo quesito: “A quale chiesa appartieni? A quella di Costantinopoli, di Roma, di Antiochia, di Alessandria o di Gerusalemme? Ebbene, tutte queste chiese con le loro diocesi si sono unite. Perciò, se, come dici, fai parte della Chiesa cattolica, vale a dire universale, devi unirti a queste chiese, nel timore che, seguendo una via nuova ed inconsueta, ti possa imbattere in qualche pericolo in agguato.” Il santo rispose: “Dio, il Sovrano di tutta la creazione, ha dichiarato che la Chiesa universale è la confessione retta e salvifica della fede in Lui, per cui proclamò beato Pietro che aveva professato la Sua divinità (Mt. 16, 18). Tuttavia, vorrei conoscere la condizione sulla quale si fonda questa unione di tutte la chiese e, se tale condizione sarà buona, non me ne separerò”2.

La Chiesa ortodossa in quanto Corpo di Cristo è indivisibile, invincibile ed impeccabile nella “confessione retta e salvifica della fede”. Ciononostante, è possibile che alcuni cristiani ortodossi e persino delle chiese locali tradiscano la verità dell’Ortodossia e che decadano e si separino dalla Chiesa universale, come già è accaduto per la Chiesa d’Occidente che è caduta nell’eresia del papismo e del protestantesimo. È altresì possibile che gli ortodossi si dividano e che ci siano, in seno alla Chiesa, “alcune contestazioni”, come san Paolo scrisse ai cristiani di Corinto (I Cor. 1, 10-14). In questo caso, il criterio della verità sono i dogmi ed i canoni della Chiesa ortodossa universale o, per ripetere la parole di san Vincenzo di Lérins (+450 circa), “ciò che è stato da sempre, ovunque e da tutti creduto”3.

Così, la condizione necessaria all’unità ortodossa, è, innanzitutto, “la confessione retta e salvifica della fede”. Ora, ciò che manca nel testo del Messaggio in questione è proprio tale confessione. Tale documento considera positivamente il fenomeno della pan-eresia dell’ecumenismo che nega l’insegnamento ortodosso relativo alla Chiesa e che, praticamente, tende a distruggere la Chiesa ortodossa del Cristo, edificata come “colonna e fondamento della verità” (cfr. I Tim. 3, 15). Ed è proprio l’ecumenismo che, oggi, nega l’unità di fede dei cristiani ortodossi. L’adesione al movimento ecumenico, imposta dai Primati e dai Sinodi di quasi tutte le Chiese ortodosse locali, ha diviso i membri di tali chiese in adepti dell’eresia ecumenista – così come della riforma del calendario liturgico che ne è il risultato – e in difensori della fede ortodossa pura e integrale come dell’unità della Chiesa ortodossa in questa fede. Tale divisione diviene sempre più profonda con l’avanzare del movimento ecumenico che, alle ultime assemblee di Vancouver (1983) e di Canberra (1991) ha palesato chiaramente i suoi progetti: arrivare, non solo, ad un’unione “pan-cristiana” amorfa, ma anche alla formazione di una comunità sincretica in cui saranno rappresentate tutte le religioni. Il modo di pensare degli ecumenisti, il loro linguaggio teologico e i termini che essi impiegano, le loro dichiarazioni ed attività sono prove eclatanti di tali progetti.

Accade spesso che si attribuisca poca importanza alla partecipazione delle chiese ortodosse locali ai Consigli ecumenici delle “chiese”. Tale partecipazione è presentata come un atto ufficiale, senza avere effettive conseguenze per la massa dei chierici e dei laici che costituiscono il Corpo della Chiesa. Ed è veritiero? In effetti, alcuni rappresentanti ufficiali delle Chiese ortodosse locali si esprimono su questioni cruciali all’insaputa di milioni di ortodossi, chierici e laici. Così, il 28 settembre 1990, nel centro del patriarcato di Costantinopoli, a Chambésy, alcuni teologi delle Chiese ortodosse locali e delle “chiese” anticalcedoniane hanno firmato una Dichiarazione comune – documento che chiude i dialoghi ecumenici intrapresi tra di loro. In pratica, tale dichiarazione ha aperto la via all’unione con gli eretici anti-calcedoniani che non hanno affatto rinunciato alla loro eresia, né accettato i decreti dei concili ecumenici IV, VI e VII.

Tale atto non ha tardato a manifestare le sue nefaste conseguenze. In una lettera al suo Sinodo, datata 22 luglio 1991 e nella sua Enciclica, indirizzata al clero ed ai laici, il patriarca d’Antiochia Ignazio IV prevede la celebrazione comune degli uffici, compresa la divina liturgia, da parte di sacerdoti ortodossi e sirogiacobiti (anticalcedoniani). Da parte sua, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, con un messaggio datato 12 agosto 1992, ha informato i Primati delle Chiese ortodosse locali che era convocata una commissione interortodossa per discutere la messa in opera delle decisioni di Chambésy. Le conseguenze di tale falsa unione sono ben evidenti. Tutti coloro che accetteranno oppure entreranno in comunione con i chierici che hanno accettato la Dichiarazione non potranno più essere membri delle Chiese ortodosse. A tale proposito, possiamo fare questo genere di obiezioni: – “Che importanza ha se il vescovo o il sacerdote è ecumenista, che importanza ha se ha accettato delle decisioni incompatibili con la fede ortodossa. Vado in chiesa in qualità di cristiano ortodosso, l’ecumenismo non mi tocca”-. Poiché la comunione ecclesiastica, la comunione sacramentale e soprattutto il sacramento della Santa Comunione, per chi vi partecipa, significa che hanno tutti le stesse idee, la stessa fede. Per citare le parole di San Paolo “siamo membra gli uni degli altri” (Ef. 4, 25) ed allo stesso tempo siamo membri della Chiesa di Cristo che è il Suo corpo (Ef. 5, 30). Il sacramento della Santa Comunione è l’espressione più profonda dell’unità degli ortodossi in questo corpo mistico il cui Capo è nostro Signore Gesù Cristo, la Fonte stessa della Verità (cfr. Gv. 14, 6; Ef. 1, 22; Col. 1, 18). Quindi, possiamo comprendere perché, secondo il canone 10 dei santi Apostoli, colui che entra in comunione di preghiera con uno scomunicato è egli stesso privato della comunione, poiché “ha tradito la Chiesa di Dio”. Perciò è importante non scansare le nostre responsabilità nei confronti di Dio e della santa Verità ortodossa, cercando dei pretesti infondati nell’individualismo dell’uomo contemporaneo.

L’unione con gli anticalcedoniani che abbiamo appena citato, non è altro che una via tra le altre, attraverso le quali l’ecumenismo – talvolta come modo di affrontare i problemi in teologia e come istituzione reale quale è il CEC – distrugge l’unità dei cristiani ortodossi nella integrale e divina Verità.

Il risultato di tale triste divisione, è la formazione di due gruppi distinti ed in opposizione tra di loro: da una parte gli organi supremi di amministrazione delle Chiese ortodosse locali, membri del CEC, con i chierici ed i laici che li sostengono, e dall’altra, i combattenti per l’integrità della fede ortodossa e per la conservazione dell’unità in detta fede.

I cristiani ortodossi hanno il diritto, fondato sui canoni della Chiesa, di interrompere la comunione ecclesiastica e la commemorazione fuori degli uffici liturgici di ogni vescovo che insegna l’eresia pubblicamente ed apertamente nella Chiesa 4. Se un vescovo od un chierico di rango inferiore non è corretto in seno alla fede, “evitalo ed allontanati da lui, fosse non un uomo ma un angelo disceso dal cielo”, scrive san Giovanni Crisostomo 5.

I cristiani ortodossi che si sono separati dalla Chiesa ufficiale per tali motivi, non possono essere sottoposti a punizioni canoniche. Anzi, sono degni dell'”onore che spetta agli ortodossi” 6, poiché non hanno rotto l’unità della Chiesa con un scisma, ma, al contrario, hanno dato prova di uno sforzo assiduo nel prevenire la divisione e lo scisma 7. Colui che insegna l’eresia o che introduce delle innovazioni nella Chiesa, provoca lo scisma e la divisione. Al contrario, colui che si oppone all’eresia e se ne distacca, dà una prova concreta del suo sforzo a conservare l’unità della Chiesa. Poiché la separazione canonica, in questo caso, ha come fine la difesa della fede ortodossa e la preservazione dell’unità della stessa Ortodossia.

La divisione causata dall’ecumenismo ha reso necessario l’impiego di un termine specifico – Chiese ortodosse ufficiali. Tale termine è stato riservato alle Chiese ortodosse locali, membri del CEC, le cui gerarchie, i sinodi e gli organi amministrativi difendono l’ecumenismo. Da parte loro gli ecumenisti “ortodossi” e i loro seguaci considerano “scismatici” coloro che si sono separati per conservare immacolata la loro fede. Nel Messaggio dei Primati delle Chiese ortodosse che abbiamo citato in apertura di questo articolo, sono proprio loro ad essere accusati di mettere a repentaglio l’unità canonica e spirituale della Chiesa ortodossa.

“Sfortunatamente, leggiamo nel testo del Messaggio, tale unità è spesso minacciata da gruppi scismatici, che esistono parallelamente alla struttura canonica della Chiesa ortodossa. Avendo mutato idea in proposito, abbiamo sentito il bisogno che tutte le sante chiese ortodosse, agendo in piena solidarietà, condannino questi gruppi scismatici e che si astengano a qualsiasi comunione con loro” 8. Assistiamo ad una tragica confusione di nozioni. I rappresentanti ufficiali dell’Ortodossia, seguaci ferventi dell’ecumenismo, presi nella trappola del CEC, tentano di confondere l’unità nella fede ortodossa che loro stessi hanno abolito, con un’unità puramente esteriore: l’unità delle strutture amministrative, l’unità delle istituzioni che ritengono canoniche. L’esempio seguente ci dimostrerà come sia erroneo tale modo di pensare. È risaputo che la Chiesa ortodossa di Finlandia celebra la Pasqua secondo il nuovo calendario, separatamente da tutte le altre Chiese ortodosse e congiuntamente a quelle cattoliche e protestanti. Tuttavia, questo fatto vergognoso è totalmente ignorato dalle chiese ufficiali. Non attribuiscono alcuna importanza al fatto che l’unità ortodossa, espressa dalla celebrazione comune della festa, è rotta da questa chiesa, che si è auto-condannata, attirandosi le severe sanzioni esposte nei Canoni (il settimo canone apostolico, gli Atti del Primo Concilio Ecumenico, il primo canone del Concilio Antiocheno). La chiesa di Finlandia è semplicemente una chiesa “ufficiale” la cui canonicità non viene messa in discussione. Allo stesso tempo, i difensori dell’Ortodossia, separati canonicamente dalla Chiesa ufficiale, sono considerati “scismatici” e il Messaggio prevede che “tutte le sante chiese ortodosse (…) condannino questi gruppi scismatici e che si astengano da qualsiasi comunione con loro”. Strana logica, che parla abbastanza di sé.

Il risultato di questo guazzabuglio di opinioni è veramente tragico. Riducendo l’unità della Chiesa ortodossa all’unità visibile e materiale delle strutture amministrative della chiese ufficiali, gli ecumenisti “ortodossi” tentano di nascondere le violazioni flagranti dei Canoni da loro commesse e la deformazione della confessione di fede ortodossa. In altri termini, sotto lo scudo dell’unità esteriore delle istituzioni, snaturano “la retta e salvifica confessione della fede”, che è la prova della reale unità ortodossa. A tale proposito, sarebbe utile ricordare la premonizione dello ieromonaco americano Seraphim (Rose): “Alla fine, tutte le istituzioni ufficiali saranno sottomesse all’anticristo” 9.

Va sottolineato che gli ecumenisti “ortodossi”, spesso, trattano brutalmente i loro fratelli ortodossi che hanno il coraggio di difendere la purezza della loro fede. Ad esempio, ricordiamo l’espulsione dei monaci della skiti del santo profeta Elia che si erano rifiutati di commemorare nei loro uffici il nome del patriarca ecumenista di Costantinopoli. Al contrario, sono anche troppo ben disposti verso gli eretici e le loro comunità, seguendo così le prescrizioni della diplomazia ecumenista. Se talvolta indirizzano loro delle critiche, queste sono sapientemente misurate nel quadro della suddetta diplomazia. Difatti, tali critiche non sono altro che parole subito dimenticate.

Infine, tiriamo alcune conclusioni generali. Coloro che il Messaggio firmato a Costantinopoli qualifica come “scismatici” sono in realtà cristiani ortodossi rimasti saldi nella loro fede santa e salvifica, “che è stata data una volta ai santi” (Giuda, 1, 3) e che è stata loro trasmessa dai Padri della Chiesa. Per citare ancora una volta il padre Seraphim (Rose), queste persone seguono dei vescovi che reggono un ristretto numero di diocesi ortodosse e che si dimostrano intransigenti nei confronti dell’apostasia della nostra epoca. Possiamo citare una parte della Chiesa Ortodossa in Russia, la Chiesa Ortodossa Russa Fuori Frontiera, i Veri Cristiani Ortodossi (ovvero i vecchio calendaristi) in Grecia 10. Aggiungiamo anche la Chiesa dell’antico calendario liturgico in Romania e la Chiesa Ortodossa dei vecchio calendaristi presente nel nostro paese. Ed è proprio questo “piccolo resto” dei figli di Israele – l’Israele del Nuovo Testamento- che detiene “la retta e salvifica confessione della fede”, unica prova della vera unità ortodossa. Disprezzato, calunniato, spesso persino perseguitato da persone che sostengono di avere la stessa fede, che pretendono di dirsi ortodossi, questo “piccolo resto” altro non è che “una pietra d’inciampo” (Rom. 9, 32) per l’ecumenismo ed un solido sostegno dell’Ortodossia. Poco numerosa, ma fedele alla fede dei Padri, la Chiesa Ortodossa Bulgara dell’Antico Calendario si inserisce a pieno titolo in questo “piccolo resto” che risponde, in verità, alle parole ispirate dell’arcivescovo russo Seraphim (Sobolev), di beata memoria: “L’ecumenismo non festeggerà la propria vittoria finché non avrà annoverato al suo interno tutte le chiese ortodosse. Non lasciamogli questa vittoria! Conoscendo la sua vera natura e i suoi fini, rigettiamo completamente il movimento ecumenico, poiché in sé nasconde l’apostasia e il tradimento di Cristo”11.

Tratto da La Voie Orthodoxe, n. 2 /1993 pp. 46-51
Traduzione dal francese di Chiara Ruth Rantini


[1] Tcherkoven vestnik, an. XCIII, n°12, (23 III 1992), p.1
[2] In vitam ac certamen sancti patris nostri ac confessoris Maximi, PG, t. 90, col. 93
[3] Commonitorium Peregrini pro catholicae fidei antiquitate et universitate adversus profanas omnium haereticorum novitates, PL, t.50, col. 640
[4] Quindicesimo canone dal Protodeuteron (Concilio Primo-secondo di Costantinopoli).
[5] Homiliae in epistolam ad Hebraeos, PG. t.63, col.231
[6] Protodeuteron, cit
[7] Ibidem.
[8] Tcherkoven vesnik, an, XCIII, n. 12, 23 III 1992, p1.
[9] Hieromon. Seraphim (Rose). Sviatoe Pravoslavie, XX vek, Donskoï monastyr, 1992, p.26
[10] Ibidem, p. 243.
[11] Archiep. Séraphim (Sobolev). ” Nado li Rousskoï Pravoslavnoï Tzerkvi outchastvovat v ékouménitcheskom dvijénii ?”, Deyania Sovéchtania glav i predstavitelei avtokefalnyh tzerkvei v sviazi s prazdnovaniem 500-létia avtokéfalii Rouskoï Pravoslavnoï Tzerkvi, 8-18. VII 1948, t. II, Moskva 1949, p.383.

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