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Alcune modeste riflessioni sull’unione delle Chiese

Alcune modeste riflessioni sull’unione delle Chiese

Allegoria della Chiesa
Allegoria della Chiesa

Pubblichiamo un noto scritto del teologo greco Alexandros Kalomiros, tratto dalla sua opera Contro la falsa unione. Nonostante il tono, forse eccessivamente antintellettualistico, il saggio è di estrema utilità per la comprensione dell’attuale sete indiscriminata di “dialoghi” di ogni genere e tipo e per un’attenta disamina dei problemi sorti con il movimento ecumenico.

1. La via della conoscenza

L’Ateismo, così come la Riforma, possono levarsi oggi contro l’Ortodossia, il loro attacco però è fondato sul disprezzo. Attaccano l’Ortodossia perché la osservano secondo la loro ottica, secondo la loro mentalità e la considerano una variante del Cattolicesimo.
Questo fatto non è dovuto ad un atteggiamento cattivo, ma ad una totale incapacità di giudicare con criteri diversi e di pensare con una mentalità diversa.

Il Cattolicesimo, il Protestantesimo e l’Ateismo sono allo stesso livello. Sono i prodotti della stessa mentalità; tutti e tre sono sistemi filosofici, prodotti del razionalismo, cioè della regola che fa della ragione umana il fondamento della certezza, la misura della verità, la via della conoscenza.
L’ortodosso è ad un altro livello e la sua mentalità è del tutto differente. Per lui la filosofia è una via senza uscita che non ha mai portato alla certezza, alla verità, alla conoscenza. L’ortodosso rispetta la ragione umana più di ogni altro e non la trasgredisce; essa è per lui uno strumento utile per svelare la menzogna, per scoprire l’errore, ma non è mai sufficiente per dare la certezza, per illuminare e mostrare la Verità e per condurre alla conoscenza.
La conoscenza è la visione di Dio e della sua creazione in un cuore purificato dalla grazia divina e dalle preghiere dell’uomo: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”.

La verità non è una serie di definizioni, ma Dio stesso concretamente rivelato nella Persona del Cristo che ha detto: “Io sono la Verità”.
La certezza non è un’armoniosa costruzione intellettuale, ma un sentimento profondo del cuore. Viene nell’uomo, in seguito alla visione inferiore, e l’accompagna il calore della Grazia divina. Mai un’armoniosa costruzione intellettuale prodotta da un ordinamento razionale è seguita da questo sentimento.

La filosofia è caratterizzata dalla schematizzazione. Il pensiero umano non può accettare la realtà come essa si presenta. Prima la cambia in simboli che poi esamina. Questi simboli imitano schematicamente la realtà. Ora, gli schemi sono lungi dalla realtà quanto un pesce dipinto da un pesce vivo. La “verità” del filosofo è una serie di schemi e di immagini. Questi schemi presentano un grande vantaggio: essendo comprensibili sono alla misura dell’uomo e soddisfano il suo pensiero; nascondono però un grande inconveniente, quello di non avere alcun rapporto con la realtà viva.
La realtà viva non entra nelle macine del pensiero umano perché è uno stato al disopra della ragione. La filosofia è il tentativo di cambiare, di sottomettere alla ragione ciò che è al di sopra della ragione, questa è una contraffazione, è un’impostura. Ecco perché l’Ortodossia rifiuta la filosofia e non ammette che essa possa essere una via che porti alla Conoscenza.

La sola via che conduce alla Conoscenza è la purezza del cuore; questa sola permette l’abitazione della Santa Trinità nell’uomo. In questo modo Dio solo, e con lui tutta la creazione, viene conosciuto senza essere schematizzato. Colui che “È” si fa conoscere senza diventare comprensibile. Egli si fa conoscere senza con ciò sminuirsi per essere contenuto nei limiti soffocanti del pensiero umano. Così l’intelletto umano, vivente e informale, entra in contatto col Dio vivente e informale.

La Conoscenza è il contatto vivente del reciproco amore tra l’uomo, il suo Creatore e la sua Creazione.
L’esperienza della conoscenza è un qualcosa che non è possibile esprimere con parole umane. Quando l’Apostolo Paolo giunse alla conoscenza, disse di aver udito parole ineffabili, cose che l’uomo non poteva esprimere.

Così è la profondissima teologia cristiana: inesprimibile. I dogmi sono delle formulazioni ausiliarie, non sono la conoscenza reale; sono solo guide e parapetti. Si può possedere la Conoscenza senza conoscere i dogmi, cosi come si può ugualmente conoscere tutti i dogmi e ammetterli senza per questo possedere la Conoscenza. È per questa ragione che, al di là della teologia catafatica o positiva, i Padri hanno posto il profondo mistero della teologia apofatica o negativa, nella quale non vi è posto per nessuna defi­nizione, l’intelligenza tace immobile, il cuore apre le sue porte per accogliere il Grande Visitatore “che sta sulla porta e bussa” e l’intelletto vede Colui che “È”.

Nessuno pensi che tutto ciò sia vero solo per la conoscenza soprannaturale che è in realtà un movimento di Dio verso l’uomo.
L’uomo non può conoscere nulla con la logica e non può essere sicuro di nulla, né di se stesso, né del mondo, né delle cose normali e quotidiane.
Chi mai aspettava in verità il sillogismo di Cartesio, “Penso, dunque sono” per assicurarsi di esistere veramente? Chi aspettava che i filosofi gli provassero che il mondo circostante era reale per crederci? D’altra parte una prova del genere non è mai stata fornita né lo sarà mai e tutti coloro che si occupano di filosofia lo sanno bene. Mai nessuno ha potuto veramente dimostrare con la logica che sia noi stessi sia i nostri pensieri ed il mondo che ci circonda non siano immaginari e fantasmatici. Anche se qualcuno lo dimostrasse logicamente – cosa impossibile – la dimostrazione logica non convincerebbe nessuno.

Se noi siamo certi di esistere, se siamo certi che i nostri amici non sono dei prolungamenti di noi stessi, ma che esistono realmente, noi non dobbiamo ciò alle dimostrazioni dei filosofi, ma alla conoscenza interiore, a un senso interiore che senza sillogismi e senza dimostrazioni ci assicura di ogni cosa.
La conoscenza naturale, la conoscenza del cuore e non del cervello, è il fondamento solido di ogni pensiero. Su di essa la logica può costruire senza temere la demolizione, senza di essa la logica costruisce sulla sabbia.

Questa conoscenza naturale conduce l’uomo sulla via del Vangelo che lo fa discernere fra la verità e la menzogna, fra il bene ed il male. Da essa sono costituiti i primi gradini che elevano l’uomo fino al trono di Dio. Quando l’uomo nella sua libera volontà ha percorso questi primi passi della conoscenza naturale, allora Dio si china su di lui e gli rivela la conoscenza dei misteri celesti “che l’uomo non può descrivere”.
La predicazione degli Apostoli e dei Padri, i profeti ed il Vangelo, le parole del Cristo stesso si rivolgono alla conoscenza naturale dell’uomo; è questo il campo dei dogmi, il campo della teologia positiva o catafatica; è il presepio nel quale nasce la fede. L’inizio della fede è quando il cuore sente che in quel libretto che si chiama Vangelo, parla la verità, e che nella tua chiesa ove si radunano degli uomini poveri, ma fedeli, Dio discende e dimora in mezzo a loro; è ancora quando la paura ti invade perché la terra che calpesti è stata stabilita dalla mano di Dio, perché il mare che tu contempli è grande e vasto, perché tu cammini, perché tu respiri, quando cominciano dai tuoi occhi a sgorgare le lacrime, le lacrime del pentimento, le lacrime dell’amore, le lacrime della gioia e allorquando tu senti le prime carezze degli ineffabili misteri.

La conoscenza naturale si trova in tutti gli uomini, ma non in tutti essa è pura. La brama del piacere ha la forza di oscurarla, le passioni sono come una nebbia, ecco perché pochi uomini trovano il cammino della Verità. Quanti si sono smarriti nel dedalo della filosofia mentre cercavano quel po’ di luce che non vedranno mai?

In questo dedalo non ha più nessuna importanza l’essere cristiani o atei, protestanti o cattolici, platonici o aristotelici. C’è un punto comune in tutti gli uomini: l’oscurità. Colui che si inoltra nell’antro del razionalismo cessa di vedere. Quale che sia il suo vestito, assume lo stesso colore oscuro. Quando discutono, si comprendono benissimo l’un con l’altro, perché tutti usano le stesse definizioni: quelle del l’oscurità. E’ loro inoltre impossibile comprendere coloro che si trovano fuori dal dedalo e vedono la luce. Tutto ciò che possono dire coloro che ne sono fuori, essi lo vagliano secondo le definizioni che hanno imparato, e non vedono in che cosa questi le possono sorpassare.

2. I tremendi misteri

La discussione tra l’ateismo ed il cattolicesimo è possibile, perché essi discutono sullo stesso piano filosofico con argomenti dello stesso genere. Al contrario la discussione tra l’ateismo e l’Ortodossia è impossibile perché l’Ortodossia parla un linguaggio totalmente incomprensibile all’ateismo. L’Ortodossia certamente comprende molto bene il linguaggio dell’ateismo, ma se essa si servisse di questo linguaggio, cesserebbe di essere l’Ortodossia.

Prendiamo ad esempio la discussione sull’uomo. Il cattolicesimo afferma che l’uomo è composto di anima e di corpo. L’ateismo non ammette l’esistenza dell’anima e insegna che l’uomo è solo corpo. Questa negazione è una risposta alla concezione cattolica dell’uomo.
Nel loro sforzo per esprimere in un semplice schema il profondo mistero della natura umana, i cattolici hanno preso a prestito i concetti filosofici greci di anima e di corpo che erano mirabilmente schematici, e hanno definito l’anima ed il corpo in modo che questi due concetti fossero perfettamente comprensibili. Come gli antichi, essi hanno descritto l’anima come un’entità indipendente ed autoesistente, come la parte assolutamente primaria dell’uomo e hanno deprezzato il corpo al livello di un peso inutile che, come credevano i greci antichi, imprigiona l’anima e non la lascia sviluppare liberamente.

Il mistero dell’essere umano fu dunque ridotto al livello semplicistico delle definizioni filosofiche nel quale l’Ateismo lo doveva trovare e lo doveva cominciare a discutere perché anch’esso si muove al livello delle definizioni filosofiche. Così è cominciata una diatriba interminabile di argomentazioni filosofico-scientifiche che continuerà fino alla fine del mondo ovviamente senza poter provare nulla dato che la dimostrazione viene cercata nel cerchio della logica pura e non nei temi che la superano; l’importanza pertanto di questa diatriba è del tutto secondaria perché da sola essa non può condurre né alla conoscenza né alla certezza.

Come avrebbe potuto l’Ortodossia partecipare ad una discussione del genere di un ingenuità bambinesca senza anch’essa cadere allo stesso livello semplicistico? L’Ortodossia si rifiuta di definire filosoficamente la natura umana, il corpo e l’anima. Essa sa molto bene che l’uomo non è solo quello che appare; sa inoltre molto bene di non poter descrivere e definire l’anima, di non poter considerare il corpo e la materia come cose comprensibili per il cervello umano. Questo, anche se analizzasse il più possibile gli esseri, avrebbe un bel cercare di farlo, perché non potrà studiare null’altro se non gli schemi che il cervello stesso avrà fabbricato e non la vera essenza di essi. Ecco che cosa dice dell’uomo San Gregorio Nisseno: “La creazione dell’uomo mi appare come un qualcosa di tremendo e di molto difficile da spiegare, perché essa riassume in sé tanti misteri e tanti segreti di Dio”.
L’Ortodossia utilizza i termini “corpo”, “anima”, “carne”, “materia”, “spirito” senza intendere sempre, con la stessa parola, le stesse cose. Essa utilizza i termini del lessico umano perché deve esprimersi. Non permette però mai di racchiudere, negli stretti limiti di un concetto umano, tutto quel mistero che gli angeli stessi non possono comprendere, non di più di quanto essa accetti di racchiudere l’uomo nei compartimenti stagni del corpo e dell’anima né come certi eretici moderni di corpo, anima e spirito. L’Ortodossia non dà assolutamente alla carne un valore vile, ma spesso parla della carne come se fosse tutta la natura umana; “e il verbo si è fatto carne”.

L’Ortodossia è vita vissuta, un seguito di contatti ontologici e non un seguito di ragionamenti umani. Essa ha alcuni suoi propri ragionamenti, che sono più che logici, ma che sono soltanto ausiliari. I suoi fondamenti non sono fondamenti fatti di sillogismi e di teoremi filosofici, ma esperienze dell’azione divina nei cuori puri dei santi. Come può allora l’ateismo discutere con essa?

3. La Luce

Tuttavia si sono visti degli “ortodossi” discutere con l’ateismo e con la filosofia. Dei saggi di diverse organizzazioni religiose del nostro paese (la Grecia N.d.T.) si sforzano da anni di dimostrare che “la scienza ammette l’esistenza di Dio”, ma ciò che hanno dimostrato con tutte le loro discussioni è il loro attaccamento alla scienza e alla filosofia e la loro grande ignoranza dell’Ortodossia. Esempi viventi dell’europeizzazione del nostro paese, essi non hanno voluto né potuto attingere nell’Ortodossia la forza di ridurre al silenzio ogni filosofare e sono rimasti, malgrado la loro ortodossia teorica, degli occidentali puri.

L’Ortodossia ha la forza di dimostrare logicamente ai filosofi che la filosofia, se vuol restare logica con la ragione come unica risorsa, non può finire che nell’agnosticismo, cioè nella negazione di ogni conoscenza. Ogni altro suo argomentare è assurdo e, benché possa apparire logico, nondimeno è fondato sul l’immaginazione.
Per la conoscenza non vi è che una strada, quella tracciata da Dio nel corso dei secoli, che non è una strada fatta di ragionamenti, ma di vita. La verità non è un sistema di teorie filosofi che, ma una Persona: “Io sono la Via, la verità e la vita”.

Per percorrere questa via, non basta dire che crediamo e che siamo cristiani: “Non chi dice: Signore! Signore!, entrerà nel regno dei cieli.” Un’altra cosa è necessaria: la lotta di tutta la vita del cristiano per raggiungere la purezza del cuore che lo rende degno di ricevere l’illuminazione dello Spirito Santo. A raggiungere questa purezza di cuore, il cui scopo è di far abitare nell’uomo la Santa Trinità sono dedicate tutte le lotte morali ascetiche del cristianesimo. “Colui che mi ama custodirà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo da lui e porremo la nostra casa in lui”.
Questo contatto diretto con la Santa Trinità, questa unione con la divinità, questa visione di Dio è la Conoscenza. Questa sola illumina l’uomo; questa sola gli fa comprendere Dio e la sua creatura; questa sola gli fa penetrare le ragioni degli esseri e gli insegna che cos’è l’uomo al di là delle apparenze e ben lungi dalle definizioni filosofiche.

Di fronte a questa Conoscenza che cosa possono dire i filosofi e gli atei? Negarla? Non possono farlo. Il cieco che non ha mai visto la luce, può certamente negare l’esistenza della luce, ma la sua negazione non preoccuperà nessuno di coloro che vedono.
Colui che vede non può provare al cieco l’esistenza della luce. Se il cieco è ben disposto, crederà a colui che vede e andrà di corsa a prostrarsi davanti al Cristo e a pregarlo di dargli la Sua luce. Se non gli crede, resterà cieco per sempre e nessuno gli potrà far misurare l’immensità della sua miseria.

Questo è il rapporto dell’Ortodossia con i filosofi, il rapporto che ci può essere tra un vedente e un cieco. Colui che vede non può discutere con dei ciechi della bellezza del mondo, dei colori, della luce; allo stessa modo l’Ortodossia non può discutere con i filosofi sulla magnificenza della Conoscenza.
La Conoscenza è qualcosa che si deve gustare per sentirla. Senza immagini adeguate, non si può né parlare né trasmettere ciò che si vuole dire. Allora deve essere interrotto ogni dialogo tra Ortodossi e razionalisti? No di certo. Il dialogo deve continuare perché ciechi e vedenti vivono insieme. I ciechi parleranno sempre da ciechi. Ciò che importa invece è che i vedenti non parlino come i ciechi affinché i ciechi scoprano la loro cecità. Coloro che vedono devono continuare a parlare da vedenti, anche se non possono essere compresi. Potranno almeno comprendersi tra loro e forse chissà certi ciechi ascoltandoli scopriranno che senza gli occhi non si può conoscere la luce.

4. La Salvezza

Un buon numero di “ortodossi”, ciechi in mezzo ad altri ciechi, prendono parte con gioia alle discussioni tra cattolici e protestanti.
Prendiamo ad esempio le discussioni sulla giustificazione: l’uomo è salvato dalla fede o dalle buone opere?
I cattolici insegnano che l’uomo è salvato dalla quantità e dalla qualità delle buone opere che presenterà alla fine della sua vita. Ci fu anche un tempo in cui i Papi proclamavano che le buone opere dei santi superavano il numero necessario alla loro salvezza e che le ricompense per questi loro meriti, detti surrogatori, potevano essere date ai peccatori se, beninteso, questi ultimi avessero dato una contropartita.

I protestanti, rigettando la tesi dei cattolici, insegnavano che le opere non avrebbero nessuna importanza perché “l’uomo non è giustificato dalle opere della Legge”, e che solo la fede salverebbe l’uomo. Questa disputa continua fino ad oggi con un moltiplicarsi di argomenti che non convincono nessuno perché continuano a girare a mo’ di “gatto che si morde la coda”, nel cerchio vizioso dei concetti puramente umani propri del razionalismo.
Qual’è la posizione degli “ortodossi” di fronte a questa disputa degli occidentali ? Un sentimento di inferiorità e un senso di disorientamento regnano in questi nostri teologi che restano in ammirazione, quasi in estasi, davanti alla complessità dei sillogismi dei loro colleghi occidentali. Non sanno che dire e, nel loro intimo, rimproverano l’Ortodossia perché non ha preso una posizione chiara su questo problema. Gli uni si alleano ai cattolici, sia pur con certe riserve, gli altri cercano di conciliare i due punti di vista. Gli Apostoli e i Padri non vengono in loro aiuto; sembra che si contraddicano fra di loro e anche con loro stessi. A che oscurità conduce il razionalismo! Come possono i razionalisti comprendere gli Apostoli e i Padri che non erano dei razionalisti e che hanno usato un linguaggio ben estraneo a costoro?

Per i razionalisti la Sacra Scrittura che è il libro più semplice che esista al mondo, è piena di contraddizioni. Per loro ogni parola, ogni espressione, non ha che un solo ed unico significato definito in anticipo. L’Apostolo Paolo ha ragione quando insegna che la giustificazione viene dalla fede o ha ragione l’Apostolo Giacomo che scrive ; “Che giova, fratello mio, se tu dici di avere la Fede, ma non hai le opere? Può la fede salvarti?… Anche i demòni credono e tremano.” Molti teologi hanno definito l’epistola di Giacomo una “falla” e la considerano indegna di essere enumerata tra i Libri del Nuovo Testamento, ma anche lo Stesso Apostolo Paolo sembra contraddirsi quando parla di una giustificazione per fede e di una in cui “ciascuno riceverà secondo le sue opere”. Da ciò alcuni protestanti hanno cominciato a parlare di due “giustificazioni”.

Il pensiero degli Apostoli e dei Padri così chiaro e così semplice si trova oscurato come se si trovasse in una fitta nebbia, tra le mani dei teologi protestanti; costoro vogliono un Cristianesimo che sia un sistema di tipo filosofico; per loro ogni cosa deve essere al suo posto e bene ordinata. Nella ristrettezza del loro pensiero ogni antitesi è una contraddizione, benché la realtà sia piena di antitesi. Non è che dopo aver accettato le antitesi così come sono e senza cercare di appianarle, che ci si avvicina alla verità.

Gli ortodossi dovrebbero render gloria a Dio perché mai un tal problema si è posto nella Chiesa Ortodossa. La disputa sulla giustificazione, che continua da secoli in Occidente, è vuota di contenuto. La salvezza non è la ricompensa per la fede, per un opera, per una cosa benfatta; la salvezza non è una ricompensa più di quanto la perdizione non è una punizione. Questa concezione, come tutte le concezioni razionaliste è a misura umana; è il prolungamento nel mondo spirituale di ciò che accade nella vita quotidiana degli uomini, nella società nella quale una parola buona o un’opera buona sono ricompensate e una parola cattiva o un’opera cattiva sono punite dalle leggi decretate dagli uomini.

Come i greci dell’antichità, gli occidentali hanno costruito un Dio a immagine dell’uomo. Lo vedono come un giudice che condanna e punisce secondo delle leggi vigenti, ma la giustizia di Dio non ha un senso vendicatore e giuridico. Dio non punisce per soddisfare la sua Giustizia; questa è una dottrina anticristiana. Dio non punisce nessuno, non fa altro che istruire, come un padre che castiga i suoi figli per educarli; anche la Geenna non è un luogo di punizione, ma un luogo di esilio volontario lontano dalla presenza di Dio; è uno stato di cecità volontaria, un luogo che non riceve mai i raggi del Sole. Dio è Giusto, cioè Buono, ecco perché non sta vicino agli ingiusti cioè ai cattivi, non perché non vuole avvicinarsi a dei peccatori, ma perché i cattivi deviano dalla Giustizia di Dio e non vogliono alcun contatto con Lui. “Non è Dio che odia, siamo noi che odiamo. Dio non odia mai.” dice san Giovanni Crisostomo.

La salvezza, come la conoscenza, è una questione di rapporti con Dio. Le opere, la fede, le virtù e i dolori aprono al Signore la porta del nostro cuore. A procurare la salvezza non sono le opere, la fede, le virtù o le sofferenze e nemmeno tutte queste cose insieme, perché non si può avere tutto questo e non gustare le caparre dello Spirito, non avere dimorante in noi la Santa Trinità. La salvezza, come la conoscenza, è l’uomo reso vivo dalla grazia di Dio, è la visione di Dio di cui i cuori puri sono degni già dalla vita presente secondo la misura della loro purezza e non la ricompensa forzata delle pene e delle fatiche che forse non hanno del tutto purificato il cuore, né il coronamento di una fede intellettuale che può non aver cambiato la vita dell’uomo.

5. Il Grande Abisso

Il cattolicesimo, il protestantesimo e l’ateismo, come d’altronde tutte le filosofie, parlano la stessa lingua; l’uno comprende gli argomenti dell’altro e, malgrado ogni loro discordanza, si comprendono tra loro. Un grande abisso separa l’Ortodossia da tutti questi sistemi perché è da questi differente nella sua essenza.
Tutte le cattive opinioni dell’Occidente e l’inaridimento della sua spiritualità hanno avuto per conseguenza fondamentale il razionalismo. Gli Europei giudicano le cose celesti con misure terrestri e vivono la religione nelle prospettive e con i criteri di questa vita. Si potrebbero moltiplicare gli esempi e riempirne libri interi, ma i due esempi che abbiamo dato sono sufficienti per comprendere che la differenza tra la Chiesa Ortodossa e le Chiese occidentali non è una differenza di caratteristiche, ma di natura.

Anche supponendo negli occidentali le migliori disposizioni per accostarsi all’Ortodossia e viverla, queste disposizioni non sono sufficienti per renderli capaci di sentire e di vivere l’Ortodossia. Tanti anni di apostasia non sono passati senza lasciare tracce nelle anime; l’impronta è così profonda che non può essere cancellata se non in cuori umili e solo dalla grazia di Dio… Molti hanno preso il nome di ortodossi in questi ultimi tempi in Europa e sono stati crismati con il Santo Crisma della Chiesa Ortodossa, ma pochi lo sono diventati veramente. La maggior parte di essi hanno abbracciato l’Ortodossia gnoseologicamente, posseduti dalla ricchezza delle conoscenze che questa loro offriva e sedotti da un aspetto del cristianesimo visto per la prima volta che veniva a colmare l’abisso scavato nel loro cervello dal cristianesimo ristretto dell’Occidente. Ma anche prima di essersi comunicati, prima di aver pianto i loro peccati, prima anche di aver domandato nel silenzio e nell’ascosi la grazia del Cristo, hanno considerato un dovere imperioso insegnare l’Ortodossia agli ortodossi. Scandalizzati dall’ignoranza degli ortodossi nelle questioni teoriche in cui essi eccellono, hanno disprezzato il popolo ortodosso che vive naturalmente l’Ortodossia dei suoi Padri ed è pronto a morire per essa. Dio però non abita nel cuore degli orgogliosi. La loro -formazione teorica non li ha custoditi dallo smarrirsi e sono ritornati alle loro primitive usanze.

Per comprendere i Santi ed i Padri della Chiesa, non è sufficiente leggerli. I Santi hanno parlato e scritto dopo aver vissuto i misteri di Dio dei quali avevano un’esperienza personale. Per comprendere i Santi e i Padri, bisogna aver raggiunto personalmente con il proprio gusto, il proprio olfatto, la propria vista un certo grado di iniziazione ai misteri divini.

Si possono leggere i libri dei Santi, si può essere formati intellettualmente da essi, senza con ciò aver gustato, nemmeno minimamente, quanto essi hanno gustato prima di scrivere la loro esperienza. Per comprendere nella sostanza e non intellettualmente i Santi bisogna aver gustato e vissuto nell’ambiente ricco dell’Ortodossia, essere cresciuti in esso, aver gustato l’ascesi, il dolore e lo sforzo mirato alla perfezione cristiana. Ci si deve abbassare profondamente per superare la porta bassa e stretta che conduce al Regno dei cieli, umiliarsi, scaricarsi dei fardelli dei beni di questo mondo, staccare il proprio cuore da tutto ciò che gli uomini considerano grande e degno di interesse, aver versato le lacrime del pentimento per la vanità in cui si è vissuti, le lacrime della supplica ardente al Signore perché ci tiri fuori dalle tenebre e ci faccia discendere nel cuore il raggio dello Spirito.

Ci vuole tutta una creazione del mondo nel cuore per poter sentire almeno in piccola misura l’Ortodossia. Come è possibile umiliarsi e diventare semplici come fanciulli quando, già dalla culla, si è respirata l’aria arida del razionalismo e adorata come un idolo l’intelligenza umana? Come è possibile evitare gli scogli del turbamento quando si è appreso, già dall’infanzia, a correre dietro a ciò che gli uomini chiamano “grande”, dietro a ciò che è un “abominio davanti a Dio”, quando si è imparato a guardare come gli “adoratori dell’ombelico” il ritorno dell’uomo all’interno di se stesso?
Che cosa hanno fatto in realtà il cattolicesimo ed il protestantesimo per proteggere il mondo dal turbine senza -fine che lo sta trascinando? Non è stata forse la religione dell’Occidente che ha spinto gli uomini a correre affannati verso ciò che il Cristo chiama vanità? Il monachesimo che è il cuore della religione, è stato soppresso o cambiato in “ordini” attivi, l’azione ed il pensiero dei quali hanno per missione di servire il benessere terreno degli uomini e la conoscenza secondo le regole di questo mondo “proclamata folle da Dio”. L’Occidente ha fatto della politica un campo di azione “cristiana” influenzando di conseguenza i regni e versando sangue per guadagnare potenza e denaro. Ha utilizzato le “missioni” come un’esca per sottomettere le genti di colore all’inumana dominazione dell’Europa. Ha cercato il “comfort” ed il benessere e ha insegnato che la ricchezza è un dono di Dio. Si è dato alla dottrina cristiana uno scopo di utilità sociale facendo credere agli uomini che il Cristo è stato un maestro di morale che si interessava soprattutto al buon funzionamento della società e che la Chiesa è la custode per eccellenza delle leggi umane e la teorizzatrice dell’organizzazione politica. Si è creato un modello di cristiano fariseo, di cittadino buono e fedele, che ha l’impressione di aver raggiunto la perfezione per il fatto di non aver nuociuto a nessuno e per aver dato del denaro alle opere di beneficenza. Come può una civiltà governata dalla ricerca del benessere umano, caratterizzata dall’orgoglio luciferino per gli “exploits” della propria scienza, produrre degli uomini umili, degli uomini che sospirano con dolore e lacrime alla luce celeste?

Come può una civiltà in perenne movimento, rivolta verso l’esteriore, dare degli uomini chini verso le profondità del loro cuore per trovare, nel silenzio e nell’immobilità del loro “tesoro”, la “perla preziosa”, ciò che sarebbe un miracolo raro e incommensurabile.
Se per un individuo è difficile gustare l’Ortodossia, come potranno gustarla la Chiesa Cattolica o le Chiese Protestanti messe insieme? La grande maggioranza degli Occidentali giunge a ignorare persino l’esistenza dell’Ortodossia. Com’è allora possibile che in seguito ad una o più conferenze di rappresentanti di diverse chiese, dei gruppi d’anime, da secoli nella oscurità, ritornino alla verità?
Tutti coloro che parlano di unione delle Chiese si comportano come dei politici o dei capi di Stato che conducono le masse alla guerra o alla pace, dimenticando che non si va al Cristo e alla sua Chiesa come masse, ma come persone libere…
L’Ortodossia non è soltanto una serie di dogmi né un insieme di usanze, ma qualcosa di più profondo e di più sostanziale; è un orientamento di vita e di pensiero, un soffio, il soffio della tradizione che non si riceve coi libri, ma che si trasmette da un essere vivente a un altro essere vivente, di padre in figlio, di madre in figlia, da fratello a fratello, da amico ad amico, da prete a prete, da monaco a monaco, da padre spirituale a figlio spirituale, non tramite l’inchiostro e la carta, ma da bocca a bocca, da anima ad anima, nella pratica misterica della Chiesa, nell’atmosfera dello Spirito Santo, col tempo, pian piano, secondo la lentezza della crescita di un organismo.

Coloro che parlano di “unione” non sono degli ingenui. Sanno molto bene che i cattolici e i protestanti non diventeranno in massa ortodossi, ma ciò non li preoccupa; non si interessano del ritorno delle pecorelle smarrite dall’ovile del Cristo; speculano piuttosto su di un compromesso e si contenteranno di un accordo formale; d’altra parte da molto tempo, essi hanno cessato di essere ortodossi. Essi non si interessano per nulla alla Verità, né alla vita in Cristo. In essi agisce già il mistero dell’Anticristo e non mutano fino a che questo non sia compiuto!

6. Il declino

Povero popolo ortodosso! Tu che hai dato tanti Padri e tanti santi alla Chiesa del Cristo, tu che hai illuminato tanti popoli barbari e ne hai fatto dei figli di Dio, Tu che hai irrigato delle rocce con le lagrime della contrizione e dell’umiltà e hai piantato su di esse il giardino dell’Ortodossia, tu che con le tue preghiere hai -fatto camminare Dio sulla terra, come puoi rivolgere il tuo sguardo verso l’occidente dove il sole non si leva mai, e cadere servilmente sulle ginocchia per adorare, o vecchio servitore di Dio, l’idolo del “Portatore dell’aurora”?
I prodigi e le imprese del progresso ti hanno fatto sbigottire ed eccoti pronto a prosternarti per adorare questa statua di legno dorata ma vuota? Non vedi le tenebre che si nascondono dietro la pirotecnica? Non vedi la disperazione della morte nascosta sotto il suo sorriso artificioso? Non vedi la povertà sotto l’apparente opulenza? Che cosa invidi? La potenza papale? Ma allora la potenza di Dio che ha conservata inalterata la tua fede fino ad oggi, l’hai forse dimenticata?

Cosa desideri? La conoscenza? Certo, la conoscenza tu devi desiderarla, perché essa ha cominciato a mancarti, a mancarti pericolosamente. Ma là dove tu la cerchi, la conoscenza non esiste. Là ci sono solo dei succedanei della conoscenza e cioè .quelle filosofie e quelle teologie scientifiche che hanno riempito il tuo stomaco senza nutrirti perché non portano in sé la vita, sono lettere morte, sono lo studio dell’ombra degli esseri e non lo studio di Dio e della sua creazione, sono lo studio dell’idea che ci si fa di Dio e della sua creatura, lo studio degli schemi concepiti dal nostro intelletto.
Se tu hai desiderato il benessere, sedotto dalle promesse e dai piaceri dell’Europa, vacci allora; essa ti darà senz’altro le comodità e i piaceri e con questi il vuoto e la morte, la morte che essa gusta oggi.

7. La cima della torre

Non ci stiamo sbagliando. Il popolo ellenico, come d’altronde gli altri popoli, sta facendo la sua strada e questa sarà quella della massa. La strada della massa è sempre più facile e conduce sempre al far niente e al piacere. Avremo un bel dire e fare, non otterremo niente, al punto in cui si trova il mondo il male è irreversibile.
La cosa più tragica è che il male •finisce con l’essere considerato bene agli occhi degli uomini. La condanna che non è imposta da Dio, ma che l’uomo sceglie da solo, non sarà un disastro o una catastrofe, come si pensa. La morte del corpo sarebbe stata un male minore per l’umanità. Ciò che sta per arrivare sarà qualcosa di molto più duro, di molto più inumano di quanto ci si possa immaginare. Sarà il capolavoro dell’immaginazione diabolica, il più grande scherno mai visto fino ad oggi. La catastrofe verso la quale l’umanità si sta dirigendo, sembrerà una grande realizzazione, sarà la cima della torre di Babele, il punto culminante della vanità umana, il coronamento dell’orgoglio degli uomini.
La catastrofe sarà il compimento dei desideri delle masse ove saranno passioni e vizi liberi senza ostacoli. Questo porterà il vuoto perfetto del cuore e cioè la morte spirituale ed eterna.
Nel cuore degli uomini non ci sarà più posto per Dio. “E perché l’iniquità si sarà moltiplicata, la carità dei più si raffredderà” (Matteo 24, 12). La sorgente della vita non avrà più posto nella massa degli uomini. Il Vangelo sarà stato predicato a tutta l’umanità come “testimonianza in mezzo agli uomini”. Tutti l’avranno ascoltato e quasi tutti l’avranno rigettato.
Nel lusso delle città, in mezzo alle invenzioni del cervello umano, segni e prodigi dell’Anticristo, circoleranno degli esseri umani senza vita, dei morti che crederanno di vivere la vita più intensa che mai ci sia stata, ma che in verità morderanno con -furore la propria carne…

8. Il progresso

Che rapporto ha il cristianesimo con il progresso? Quale rapporto può avere la religione che dice: “Non abbiamo città permanente quaggiù, ma attendiamo quella che deve venire”, con il progresso che è lo sforzo degli uomini per installarsi il più confortevolmente possibile nella città terrestre?
Se si presta però attenzione alle dichiarazioni e alle aspirazioni della maggioranza dei “cristiani”, si scoprirà che ciò che essi desiderano non è tanto la gloria di Dio e della Chiesa, quanto quella del progresso.

Il mondo ama questi “ cristiani” e li accoglie perché hanno le stesse ambizioni, Gli altri, tutti quelli che parlano di monachesimo, di ascesi, di preghiera, il cui pane quotidiano è lo sguardo fisso sulla città futura, il mondo li odia perché sa che non sono suoi. Il mondo qualifica i primi come “veri uomini religiosi”, i secondi li chiama “bigotti”, “fanatici”, “negatori della vita”.
C’è una stupefacente somiglianza di vedute tra gli “ortodossi” che parlano di progresso e i papisti: stessa mentalità, stesse ambizioni, stessa indifferenza verso la Verità e la vita mistica. Il loro “cristianesimo” è una copertura, una teoria cosmologica per riempire il loro vuoto e rendere più confortevole la vita terrestre.

Di questi “cristiani” ce ne sarà sempre, pronti in ogni momento al compromesso per avere la massa con loro.
Sono ottimisti circa l’avvenire dell’umanità e hanno ragione; gli uni e gli altri lavorano per l’edificazione del progresso che si costruisce ogni giorno e sempre meglio con loro grande gioia. Sarà una civiltà che rispetterà i valori, perché non ci potrà mai essere una civiltà senza valori in quanto questi sono preziosi per la civiltà. Soltanto però, dei valori non potranno impedire alla morte di riempire i cuori degli uomini, perché i valori sono dei sacrifici offerti all’idolo “uomo” e non un culto reso a Dio.

9. La via stretta

Tutto ciò che è scritto qui non è rivolto al mondo né ai “cristiani”, ma a qualche eletto che anch’egli rischia di essere fuorviato fino alla fine dei tempi.
Nelle organizzazioni cristiane, tra i cattolici e i protestanti, ci sono delle anime che desiderano veramente Dio e che aspirano alla città eterna, ma il loro ambiente e i loro maestri non permettono loro di trovare la via che desidera il loro cuore… Che questi pochi eletti facciano attenzione, molta attenzione. Il diavolo non agisce sempre da diavolo; nella maggior parte dei casi si presenta come un angelo di luce. Predica un “cristianesimo” di poco differente dal vero e con questo inganno prende nei suoi lacci molti più uomini di quanti potrebbe guadagnarsi scatenando un intero esercito di atei o di Diocleziani.

Chiama i fedeli intolleranti, ristretti di mente, fanatici, formalisti e suscita in questo modo contro la Chiesa del Cristo la più terribile delle persecuzioni. Gli uomini hanno più paura degli epiteti che riducono il loro onore e la loro reputazione, che della spada dei persecutori. Troppo pochi sono quelli che hanno il coraggio di farsi trattare da imbecilli. Nel mondo d’oggi però ogni vero cristiano non può evitare di essere considerato un imbecille o un ristretto di mente. Pochi hanno inoltre il coraggio di considerare una tale prospettiva che rasenta il martirio. Ecco perché la maggior parte preferirà sempre la via facile dei compromessi e affermerà questo con fanatismo.

Giammai i pagani hanno odiato i cristiani come fa oggi il mondo “cristiano”. La tolleranza formale inganna. Il mondo tollera solo i “cristiani” che camminano con esso, quelli che applicano un “cristianesimo” sociale e si curano di essere sempre “alla moda”. Detesta invece coloro che rifiutano di alterare la loro fede. Questo odio del mondo è un criterio per sapere se noi siamo dei veri cristiani. “Se essi mi hanno odiato, odieranno anche voi”.

Tratto da “La Lumiere du Tabor” n. 14 / 1987
Traduzione di Daniele Umberto Gandini,
pubblicata su La Pietra n.1 /2001, pp. 18-38


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