Nichilismo. L’oscuramento della Verità
Sono pochi oggi i libri in cui la passionalità espressa dall’autore travalica il testo e contagia chi legge; queste note nascono appunto da tale contagio e rispondono all’appello del Padre Seraphim, nella sua opera Nichilismo, appena edita in italiano (ed. Servitium, Sotto il Monte, 1998), nel rendere testimonianza alla verità. Per far questo occorre innanzitutto porsi in un determinato spirito, lo spirito di chi si interroga sui meccanismi impazziti delle società contemporanee, sul loro essere potenti e superbe, pur essendo sull’orlo dell’abisso. Padre Seraphim con l’audacia di un confessore della fede mette in crisi le certezze del mondo moderno e ne svela il male profondo. La sua diagnosi è chiara: ciò che affligge la nostra società è l’assoluto rifiuto di un principio di Verità. Credere infatti che non esiste verità alcuna e che quindi ogni uomo possiede la sua verità altro non può avere che due esiti: o cadere nelle braccia mortifere del nichilismo, o trascinare la propria vita nell’inganno generato dal relativismo. Se ripercorriamo brevemente la storia del pensiero filosofico dall’inizio del secolo ad oggi, vediamo che soltanto un numero esiguo di intellettuali si è sottratto a questa sorta di diktat morale. Anzi possiamo dire che questo movimento di idee, il nichilismo, nel secondo dopoguerra, ha avuto un crescente successo anche tra la massa degli uomini non troppo colti, sino a divenire senso comune. L’operazione tentata da Padre Seraphim, e non si può certo dire solo con i suoi scritti ma con l’impegno costante di una vita, mira quindi a colpire il principio stesso del nichilismo, vale a dire la negazione di una verità assoluta. Detto ciò, se credessimo di esserci imbattuti in un chierico conservatore, per così dire “vittoriano”, faremmo un grosso sbaglio: Padre Seraphim muove la sua critica proprio a partire dal liberalismo, che definisce infatti una forma di “nichilismo passivo”. La tiepidezza dell’ideologia liberale nei confronti della verità è ciò che la rende colpevole. Il liberalismo ha infatti accolto soltanto alcuni valori del Cristianesimo, molto spesso deformandoli, sottoponendo l’intera tradizione ad una sistematica revisione alla luce degli interessi del capitale. Ciò si è reso possibile proprio in virtù della trasformazione del cristianesimo in un sistema di valori, in una fede privata della Persona di Gesù Cristo e della Sua verità. “La verità cristiana – scrive infatti l’autore -… non è pura verità filosofica ma verità di vita e di salvezza “. Quindi negare la verità cristiana comporta la privazione di senso alla vita terrena. Ciò che si afferma lungi dall’essere un assioma aprioristico, è constatabile in ogni aspetto dell’esistenza quotidiana. Ogni momento della vita e del pensiero dell’uomo contemporaneo viene piegato al principio scientifico della sperimentazione e dell’esperienza, e ciò nella vita pratica e nella morale si è tradotto in relativismo, mutevolezza, tanto da celare l’autentico significato dell’esperienza umana. Addirittura della mutevolezza e della ricerca incessante si fatto lo scopo ultimo della vita. Ma sappiamo bene che se la ricerca resta fine a se stessa è sterile e non ci svela alcunché circa il senso stesso dell’esistenza. Di conseguenza è facile cadere in un crudele gioco d’illusioni; e ciò è ancora più inquietante qualora consideriamo il fenomeno nella sua dimensione globale: infatti l’assenza di un principio di verità genera irrimediabilmente dei surrogati, frutto dell’immaginazione di pochi “visionari” (p. Seraphim allude costantemente – tra gli altri – a Hitler e Lenin) propugnatori di verità parziali o “ideologie”. Le guerre e le rivoluzioni sono il prodotto finale di tali surrogati; non a caso il ventesimo secolo è quello che ha visto scatenarsi con incredibile violenza la forza devastatrice dello spirito nichilista.
I regimi totalitari, più degli altri, si sono a lungo nutriti del fiele nichilista, facendo della distruzione l’emblema della loro politica. Eppure, nonostante la fine di questi regimi, le ideologie di morte non sono state, affatto, debellate. Come rispondere a questo interrogativo? Padre Seraphim ne scorge la chiave interpretativa: la morte di Dio ha provocato nell’uomo il desiderio di morte. A questo proposito, ricordiamoci delle parole di Ivan Karamazov: “Se Dio non esiste, tutto è lecito”, anche l’autodistruzione. Un altro personaggio dostoevskiano, Kirillov, nei Demoni, si spinge fino a mettere in pratica questo stesso principio, uccidendosi per dimostrare l’inesistenza di Dio.
Con ciò, possiamo forse affermare che quanti non si oppongono allo spirito nichilista bramano la morte? Certamente no. Il nichilismo, oggi, riveste forme ben più meschine e subdole rispetto alle teorizzazioni degli intellettuali ottocenteschi. Innanzitutto il fenomeno si presenta in modo diffuso, perfettamente aderente allo spirito del nostro tempo. Epoca bizzarra la nostra. Disillusa e malinconica per una pretesa maturità acquisita con il progresso scientifico e che non le permette, oramai, di guardare ai fenomeni, tra cui quello religioso, con l'”ingenuità” del tempo antico; ma pure euforica e superba, per la sua rivendicata superiorità e per la sua assoluta fiducia nel progresso, come se il benessere raggiunto fosse qualcosa di inalienabile, di certo, di eterno, al pari delle cose materiali. Il nichilismo veste così gli abiti della sapienza, anzi di una sapienza che si pone al di sopra della saggezza filosofica e teologica “tradizionale”; qui infatti abbiamo il dominio del pensiero e dello spirito, lì la forza dell’azione, la determinazione della volontà ad andare oltre i confini già sperimentati dell’uomo. Il nichilismo presenta qui il suo volto più insidioso: dietro la distruzione, carattere peculiare, seppure non sempre apertamente manifesto, di ogni sua espressione, starebbe una finalità “positiva” di rinnovamento. Ecco, che allora, non soltanto i rivoluzionari di “mestiere”, ma anche tutti gli altri uomini animati da questa volontà di rinnovamento considereranno giusta ed auspicabile l’ipotesi di una distruzione dell’antico ordine in vista di una catarsi generale che prepari la strada all’uomo nuovo. Di fronte a tanto entusiasmo sono in pochi ad essere consapevoli dell’abisso che si cala tra i turbini della furia devastatrice; la maggioranza preferisce sognare un futuro in cui l’uomo, finalmente libero dalla schiavitù della religione, possa disporre dell’intera sua potenza creatrice; un uomo regolato unicamente dalla propria volontà, e con “propria” non mi limito a considerare solo la volontà individuale ma anche quella collettiva,popolare o generale, e geloso della conquistata autonomia. Questi il progetto, la speranza insiti nel programma del nichilismo: distruggere per ricreare, sacrificare ciò che esiste per ciò che è soltanto una fantasia. Si tratta infatti del sacrificio di un’umanità certo peccatrice, imperfetta e contraddittoria ma pur sempre libera perché dotata di una “riserva” dello spirito in cui la redenzione è più che una possibilità, essendo la realtà stessa dell'”uomo nuovo”, il cristiano che, pur senza distruggere ciò che lo circonda, è di fatto affrancato dalla prigione del mondo e della morte. Il nichilismo, invece, è il supporre che dal nulla possa nascere qualcosa di diverso dal nulla stesso; per far questo occorre una seconda creazione e quindi sostituirsi a Dio.
Pubblicato su La Pietra n. 1-4 1998 pp.21-24