del p. Daniele Marletta
«Cos’è diventata la croce per il cristiano di oggi?» Questa domanda mi torna in mente a tutte le feste della Croce. È la domanda che si poneva anni fa uno scrittore italiano, Ignazio Silone, in un suo romanzo, L’avventura di un povero cristiano. E questa domanda la mette in bocca a un uomo del tredicesimo secolo, quasi a significare che questo non è un problema recente, non è un problema della nostra era secolarizzata. È un problema che attraversa la storia della Chiesa. Cosa è diventata la croce per i cristiani? E cosa dovrebbe essere, invece?
«Noi predichiamo Cristo crocifisso» scriveva San Paolo ai Corinzi «scandalo per i giudei, e follia per i gentili» (1Cor 1, 23). Scandalo e follia, innanzitutto, perché la Croce ci mostra il volto scandaloso e folle di Dio.
Scandalo. «I giudei chiedono segni»: chiedono miracoli, azioni strabilianti. Israele era abituato a un Dio che interveniva continuamente nella sua storia, un Dio che lo guidava in guerra contro i nemici, un Dio che dimostrava continuamente la sua potenza. E qui, sul legno della Croce, vedono inchiodato un Dio debole, un Dio sconfitto, un Dio che muore.
Tornano in mente le parole che lo stesso San Paolo scriveva alla sua comunità prediletta, quella di Filippi:
«Abbiate in voi stessi lo stesso sentimento che è stato in Cristo Gesù, il quale, essendo in forma di Dio, non considerò rapina l’essere uguale a Dio, anzi svuotò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini; e, trovato nell’esteriore simile ad un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce.» (Fil 2, 5-8)
Ecco lo scandalo: un Dio che si umilia, un Dio che si fa impotente, che si fa Egli stesso maledizione, secondo le parole della Legge: Maledetto colui che pende dal legno!
Follia. «I greci cercano sapienza»: cercano equilibrio, razionalità, bellezza. I greci erano un popolo spiritualista: disprezzavano il corpo, questa carne mortale con i suoi bisogni così bassi, così ripugnati. Dio non aveva niente a che fare con la carne, per un greco. Le divinità della mitologia greca si presentavano a volte in forma umana, ma era una forma solo apparente; si concedevano a volte piaceri molto umani e terreni, ma non si concedevano mai sofferenze umane e terrene. Per i greci un dio era sempre un dio. Dio non si mescola con la carne, Dio non soffre, Dio non muore. Questo Dio dei cristiani per un greco era qualcosa di imperfetto, di irrazionale, un follia. Il primo grande fallimento di San Paolo fu proprio quando, ad Atene, cercò di predicare ai greci mettendosi sul piano della ragione, delle argomentazioni.
Scandalo e follia, dunque. Lo scandalo del Dio onnipotente che si fa impotente e la follia del Dio perfetto che si fa imperfetto, dell’infinito che si fa finito.
Noi, però, quante volte ci ricordiamo che la Croce è questo? Anzi, per tornare alla domanda da cui siamo partiti, cosa è diventata la croce per noi cristiani di oggi, per noi cristiani di sempre? A volte dentro di noi c’è un ebreo che si scandalizza della Croce, che preferirebbe un Dio onnipotente che punisca il male qui, ora, subito. Qual’è la più classica obbiezione di un ateo alla nostra fede? Paradossalmente è una domanda che troviamo nella Bibbia, nel Libro di Giobbe: se Dio è buono, perché esiste il male? Perché esiste la sofferenza? Sarebbe più facile credere in Dio se Dio dimostrasse a tutti la sua onnipotenza spazzando via il male. Noi però crediamo in un Dio impotente che muore sulla Croce.
Altre volte dentro di noi c’è un greco che si vergogna della Croce, che preferirebbe credere in un Dio lontano, perfetto, eterno. In un Dio razionalmente plausibile. Non in questo Dio folle che si lascia follemente inchiodare sulla croce.
Eppure ci dice sempre San Paolo «per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1, 24) Questo Dio impotente, questo Dio assurdo mostra proprio sulla Croce la sua potenza, la sua sapienza. La Croce è un grande paradosso: della follia fa sapienza, dello scandalo fa potenza, da maledizione si fa redenzione, da strumento di morte che era si fa per noi albero di vita. Amin.
(Omelia del 1 / 14 Agosto 2013)