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Per la Festa del Martire Lorenzo

di Sant’Agostino di Ippona

Il Santo Martire Lorenzo

Il diacono è ministro del sangue di Cristo. Il mistero della cena del Signore.
1. 1. La Chiesa di Roma affida al nostro ricordo questo giorno, giorno trionfale per il beato Lorenzo; in esso egli tenne sotto i piedi il mondo rumoreggiante minacce e lo disprezzò quando voleva sedurre e, nell’uno e nell’altro caso, riportò vittoria sul diavolo che provocava la persecuzione. Roma intera è infatti testimone di come sia gloriosa, quanto ricca di virtù simili a fiori, i più diversi, la corona del martire Lorenzo intessuta di tanti pregi. In quella Chiesa, poi, come di solito sentite dire, esercitava l’ufficio di Diacono. Ivi fu ministro del sacro sangue di Cristo: ivi, per il nome di Cristo, versò il proprio. Si era accostato con discernimento alla mensa del Potente. A quella mensa di cui ora ci parlavano i Proverbi di Salomone, che riportano: Quando siedi a mangiare alla mensa di un potente, considera bene che ti viene servito, stendi quindi la tua mano, consapevole che tu pure devi preparare vivande simili (Prv 23, 1-2). Il beato apostolo Giovanni espose chiaramente il mistero di questa cena dicendo: Come Cristo ha dato la vita per noi, così, anche noi, dobbiamo dare la vita per i fratelli (1 Gv 3, 16). Fratelli, san Lorenzo lo comprese, lo comprese e mise in pratica; e proprio quanto prese a quella mensa, quello stesso preparò. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte.

Tutti dobbiamo seguire Cristo.
2. 2. Perciò, fratelli, se il nostro amore è sincero, imitiamo anche noi. Non potremmo infatti rendere miglior frutto di amore di quello che è l’imitazione dell’esempio: Cristo in realtà patì per noi lasciandoci un esempio perché ne seguiamo le orme (1 Pt 2, 21). Da questa espressione può sembrare che l’apostolo Pietro abbia inteso dire che Cristo patì solamente per coloro che ne seguono le orme e che la passione di Cristo giovi unicamente a coloro che ne seguono le orme. I santi martiri lo hanno seguito fino all’effusione del sangue, fino a rendersi a lui somiglianti nella passione: i martiri lo hanno seguito, ma non sono stati i soli. In realtà non è che venne tagliato il ponte dopo il loro passaggio, o che quella sorgente si sia inaridita dopo che i martiri bevvero. Quale, allora, la speranza dei buoni fedeli che in forza dell’unione coniugale portano in castità e concordia il vincolo del matrimonio, o secondo la continenza vedovile rintuzzano gli allettamenti della carne, o ancora, levando più alto il vertice della santità e fiorendo in verginità illibata, seguono l’Agnello dovunque vada? Qual è per costoro – io dico – quale la speranza per tutti noi se al seguito di Cristo, non si trovano che quanti versano il sangue per lui? La madre Chiesa dovrà perdere allora i suoi figli che in tempo di pace genera tanto più numerosi quanto maggiore è la sicurezza? Perché non li perda è da implorare la persecuzione, da desiderare la prova? Lungi da noi, fratelli. Come può infatti desiderare la persecuzione chi grida ogni giorno: Non ci indurre in tentazione (Mt 6, 13)?

3. 2. Possiede, possiede, fratelli, quel giardino del Signore, possiede non solo le rose dei martiri, ma pure i gigli delle vergini e le edere dei coniugi e le viole delle vedove. In una parola, dilettissimi, in nessuno stato di vita gli uomini dubitino della propria chiamata: Cristo è morto per tutti. Con tutta verità, di lui è stato scritto: Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi e che tutti giungano alla conoscenza della verità (Tm 2, 4).

In che cosa imitare Cristo, oltre che nel martirio. Imitare la sua umiltà; rifuggire dalla vendetta. Disprezzare le cose terrene.
3. 3. Vediamo perciò di comprendere in che modo, oltre all’effusione del sangue, oltre la prova della passione, il cristiano debba imitare Cristo. Parlando di Cristo Signore, dice l’Apostolo: Il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio (Fil 2, 6). Suprema grandezza! Ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, e apparso in forma umana (Fil 2, 7)… Estremo abbassamento! Cristo volle umiliarsi: è a tua disposizione, o cristiano, quel che devi far tuo. Cristo si fece obbediente (Fil 2, 8). Tu come puoi essere superbo? Fino a che punto Cristo si fece obbediente? Fino all’incarnazione del Verbo, fino a condividere la mortalità umana, fino alla triplice tentazione da parte del diavolo, fino ad esporsi alla derisione del popolo giudaico, fino agli sputi e alle catene, fino agli schiaffi e alla flagellazione; se è poco, fino alla morte; e, se c’è ancora qualcosa da aggiungere, anche a proposito del genere di morte… e alla morte di croce (Fil 2, 8). È per noi tale esempio di umiltà, come rimedio alla superbia.

4. 3. Uomo, a che dunque ti fai baldanzoso? o pelle di carogna, a che ti vai rigonfiando? o putridume fetente, a che presumi? Vai ansimando, ti lamenti, sei di fuoco perché non so chi ti ha offeso. Perché reclami riparazione, hai la gola arsa da sete di vendetta, e non desisti dal tuo proposito prima di aver ricevuto soddisfazione di lui che ti ha offeso? Se sei cristiano, attendi il tuo Re: prima Cristo deve vendicare se stesso. Infatti, non si è ancora vendicato colui che per te ha subito tanti tormenti. Eppure quella Maestà potrebbe evitare sia ogni soffrire, sia farsi giustizia all’istante. Ma, essendo di infinita potenza, così volle pure usare infinita pazienza: infatti patì per noi lasciandoci un esempio perché ne seguiamo le orme (1 Pt 2, 21). Vi rendete certo conto, dilettissimi, che, oltre l’effusione del sangue, oltre le catene e il carcere, oltre i flagelli e gli uncini, molte sono le situazioni nelle quali possiamo imitare Cristo. Quindi, superato tale stato di umiliazione, annientata la morte, Cristo ascese al cielo: seguiamolo. Ascoltiamo le parole dell’Apostolo: Se siete risorti con Cristo, gustate le cose di lassù, dove si trova Cristo alla destra di Dio, cercate le cose di lassù, non quelle della terra (Col 3, 1-2). Tutto ciò, che delle cose terrene può far piacere, il mondo avrà posto innanzi, sia respinto; tutto ciò che di crudele e di terribile avrà fatto violentemente presentire, sia disprezzato. E chi si comporta in tal modo, non dubiti di calcare fedelmente le orme di Cristo, così da poter giustamente ripetere con l’apostolo Paolo: La nostra patria è nei cieli (Fil 3, 20).

Vera e invincibile la virtù della carità.
5. 4. Ma la virtù può risultare vittoriosa in costoro solo a condizione che la carità non sia simulata. Perciò, la virtù autentica ci viene da colui che ha infuso la carità nei nostri cuori (Cf. Rm 5, 5). Quando mai il beato Lorenzo non avrebbe temuto le fiamme all’esterno se, interiormente, non fosse stato ardente del fuoco della carità? Pertanto, fratelli miei, il glorioso martire non tremava di spavento per le atrocità da soffrire sul rogo fiammeggiante perché bruciava nell’intimo di un accesissimo desiderio dei gaudi del cielo. A confronto del fervore di cui ardeva il suo spirito, all’esterno la fiamma accesa dai persecutori era un refrigerio. Quando mai avrebbe potuto tollerare le trafitture di così immani patimenti se non perché amava le gioie dei premi eterni? Infine, quando mai avrebbe disprezzato questa vita se non avesse amato la vita migliore? E chi vi potrà fare del male – assicura l’apostolo Pietro – chi – egli dice – vi potrà fare del male se avrete amato il bene? (1 Pt 3, 13) Sia pure che infierisca contro di te l’empio persecutore: tu non puoi venir meno se ami il bene. Infatti, se in realtà avrai amato appassionatamente ciò che è bene, sarai capace di tollerare ogni male con pazienza e senza turbamento. Che danno recarono infatti al beato Lorenzo quei tormenti inferti dai persecutori, quando poi proprio i supplizi lo resero più noto e ci procurarono questo giorno di straordinaria letizia a causa della sua morte preziosa?

(Dai Sermoni di Sant’Agostino, edizione Città Nuova)


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