Memoria il 14 di Marzo
Il nostro padre tra i santi Benedetto è certamente uno di quelli che più hanno illuminato la terra d’Italia, tanto che alla sua vita è dedicato l’intero secondo Libro dei Dialoghi di San Gregorio Magno, detto «il Dialogo» [12 Marzo]. Egli nacque a Norcia, nell’Italia centrale, approssimativamente tra il 480 e il 490, in una famiglia di cristiani pii e agiati. Fin da fanciullo mostrò un carattere riservato e una saggezza insolita per la sua età. Inviato a Roma per completare i suoi studi, disdegnò i piaceri del mondo e risolse di diventare monaco. Lasciò dunque subito gli studi e la famiglia, e cercò un luogo ove ritirarsi. A questo periodo risale quello che tradizionalmente è ritenuto il suo primo miracolo. Dimorava nei pressi di Roma, nel paese di Affile, quando la sua nutrice, che lo aveva seguito con attaccamento materno, ruppe accidentalmente un setaccio in terra cotta che aveva chiesto in prestito. Il giovane, visto il dispiacere e le lacrime della donna, si ritirò a pregare; quando si rialzò dalla preghiera, il setaccio si era ricomposto e appariva come nuovo. Un fatto del genere non poteva passare inosservato, e fu presto risaputo dagli abitanti del luogo, che vollero sospendere il setaccio sull’ingresso della chiesa. Il giovane, non desiderando la gloria degli uomini, decise di lasciare il posto e si ritirò quindi a Subiaco. Qui abitò in una grotta a seicento metri di altitudine, sconosciuto a tutti gli uomini, fuorché a quello che lo aveva rivestito dell’abito angelico, un monaco cenobita di nome Romano.
Dopo tre anni, Dio decise però di manifestare il Santo al mondo, è guidò un sacerdote in visione a portargli del cibo nel giorno di Pasqua. Anche alcuni pastori, nei giorni seguenti, scoprirono il nascondiglio dell’asceta, ed egli divenne così noto agli abitanti del luogo. Intanto la sua ascesi continuava, così come la sua lotta contro le passioni, finché non raggiunse, in premio alle sue fatiche, l’impassibilità.
Avvenne in quei giorni che, nel vicino paese di Vicovaro, morì il superiore di un monastero. I monaci vennero così da Benedetto, per chiedergli di essere la loro guida spirituale. Il Santo sarebbe rimasto volentieri da solo con Dio, ma, vinto dalle molte insistenze, andò con loro, per essere loro Abate. Presto, però, i monaci furono infastiditi dalla sua severa disciplina, tanto da rimproverarsi di essere andati a cercarlo nel suo eremo. Giunsero addirittura a tentare di ucciderlo, avvelenando il vino che gli era servito a mensa. Quando però egli tracciò il segno della croce sulla brocca che conteneva il vino, questa andò in frantumi, rivelando al Santo il peccato dei suoi monaci. Egli decise così di lasciare quel monastero e di tornare alla sua solitudine.
Progredendo nella virtù, presto egli attirò a sé nuovi discepoli, in cambio di quelli che si erano dimostrati indegni della sua guida. Se ne raccolse attorno a lui una tale moltitudine, che decise di fondare dodici monasteri. A ognuno di essi assegnò dodici monaci, e a capo di ognuno pose un Abate, tenendo per sé solo alcuni che intendeva seguire personalmente. Presto anche alcune nobili famiglie vennero ad affidargli i loro figli, in particolare gli furono affidati i giovani Mauro [15 Gennaio] e Placido [5 Ottobre], anche loro glorificati dalla Chiesa.
I successi spirituali di San Benedetto furono però motivo di invidie e di nuove tribolazioni. Un sacerdote di nome Florenzio, ad esempio, cominciò a diffondere calunnie riguardo al Santo, al fine di allontanare da lui i visitatori. Non contento di ciò tentò anche lui di avvelenarlo, e non essendovi riuscito, cercò di nuocere ai suoi figli, introducendo nel monastero delle giovani donne nude. San Benedetto, temendo di essere così motivo di pericolo e di caduta per i suoi monaci, decise di allontanarsi dal Monastero, nella speranza che la gelosia di Florenzio si placasse. Quando già era lontano da Subiaco, quel sacerdote morì, e il monaco Mauro fece sapere la cosa al suo Abate, per richiamarlo. Il santo fu addolorato, sia per la morte del suo persecutore che per Mauro, che si era rallegrato di essa.
Aveva comunque deciso di allontanarsi da Subiaco e si recò dunque a Montecassino, una altura a metà strada tra Roma e Napoli. Nel luogo non erano ancora cessati del tutto i riti pagani; c’era un tempio dedicato ad Apollo, che San Benedetto trasformò in una Chiesa dedicata a San Martino di Tours. In seguito, con la predicazione, egli conquistò il popolo del luogo alla fede cristiana. Lì egli costruì un importante Monastero, che fu presto meta di pellegrinaggio.
Il re degli Ostrogoti, Totila, avendo sentito dire che il Santo era dotato di spirito di profezia, si diresse al suo monastero e mandò ad avvisare che sarebbe tra poco arrivato. Volle però mettere alla prova lo spirito profetico di Benedetto. Prese un suo servo, lo fece rivestire di indumenti regali e lo mandò al lui, a presentarsi come lo stesso Totila. Gli assegnò un seguito di dignitari e degli scudieri, in modo che, sia per gli ossequi di costoro, sia per le vesti, egli fosse scambiato per il re. Quando il servo entrò nel monastero, ornato di quegli indumenti, il Santo era seduto in un piano superiore. Vedendolo venire avanti, gridò forte verso di lui: «Deponi, figliolo, deponi quel che porti addosso: non è roba tua!». Quel servo, impaurito, si precipitò immediatamente per terra e così fecero tutti quelli che erano lì con lui. Totila allora si avviò in persona verso Benedetto, che fece per lui una predizione: «Tu adesso entrerai in Roma, passerai il mare, regnerai nove anni, al decimo morirai». Totila fu atterrito profondamente da queste parole, chiese al Santo che pregasse per lui, poi partì. Era un uomo molto crudele, ma da quel giorno diminuì molto la sua crudeltà.
San Benedetto aveva avuto da Dio il discernimento degli spiriti e il dono della profezia. Un giorno profetizzò sul proprio monastero: «Tutto questo monastero che io ho costruito e tutte le cose che ho preparato per i fratelli, per disposizione di Dio Onnipotente, sono destinate in preda ai barbari. A gran fatica sono riuscito ad ottenere che, di quanto è in questo luogo, mi siano risparmiate le vite». Il monastero fu effettivamente distrutto dai Longobardi intorno al 580. Da allora, esso fu più volte distrutto e poi ricostruito.
Forse fu a motivo di questa visione profetica che il santo decise di scrivere, negli ultimi anni della sua vita, una Regola per i suoi monaci. Essa, radicata nell’insegnamento dei Santi Padri, è divenuta nei secoli nutrimento spirituale sia per i monaci che per i laici. In essa San Benedetto scrive che il monastero è «una scuola in cui si apprende il servizio del Signore», sotto la conduzione dell’Abate, per mezzo della santa obbedienza ai precetti evangelici. Nel monastero, insegna ancora la Regola, l’Abate tiene, come il Vescovo, «il posto di Cristo» e per questo egli dovrà rendere conto davanti a Dio. Nella Regola, ancora, viene passata in rassegna la vita della comunità monastica, sia negli aspetti religiosi che in quelli umani. Da qui viene il motto fondamentale in cui questa Regola si riassume: «prega e lavora». Il monaco si santifica infatti sia con la preghiera che con il lavoro.
San Benedetto aveva una sorella di nome Scolastica [10 Febbraio], che fin dall’infanzia si era anche lei consacrata a Dio. Essa aveva l’abitudine di venire a fargli visita, una volta all’anno. Un giorno, tre giorni dopo il loro ultimo incontro, Benedetto vide in spirito l’anima di sua sorella che si dirigeva in forma di colomba, verso il cielo. Egli mandò subito alcuni monaci, perché trasportassero il suo corpo nel monastero e lo ponessero nel sepolcro che egli aveva fatto preparare per sé.
San Benedetto non era comunque solo un pio asceta e Abate, ma un vero mistico. Un giorno, mentre era immerso nella preghiera, vide scendere dal cielo una luce che dissipava l’oscurità e diffondeva un chiarore così intenso da superare addirittura quello del giorno. Egli stesso raccontò che, in quella luce, fu posto davanti ai suoi occhi tutto intero il mondo, come se fosse stato raccolto sotto un unico raggio di sole. San Gregorio Palamas [14 Novembre], nei suoi discorsi in difesa dei Santi Esicasti, rende per questo fatto testimonianza di San Benedetto, chiamandolo «uno tra i santi più perfetti», poiché aveva avuto in dono di partecipare dell’increata luce divina.
Sei giorni prima della morte, il Santo si fece aprire la tomba. Assalito poi dalla febbre, poiché di giorno in giorno lo sfinimento diventava sempre più grave, il sesto giorno si fece trasportare dai monaci nell’oratorio, ove si fortificò prima della morte ricevendo il Corpo e il Sangue del Signore. Sostenendosi con l’aiuto dei discepoli, in piedi, con le mani levate al cielo, pregando, spirò. In quel medesimo giorno, a due fratelli apparve una identica visione: videro una via, tappezzata di arazzi e risplendente, che dalla sua stanza volgeva a oriente e poi si innalzava verso il cielo; in cima si trovava una creatura raggiante di luce. «Questa» disse loro «è la via per la quale Benedetto, amico di Dio, è salito al cielo».